COME SPIEGARE IL RENDERING AD AMICI E PARENTI: INTERVISTA A MARIA LUISA QUADRATO

il rendering è un utilissimo mezzo per creare mondi paralleli, sebbene sia poco conosciuto 15 Luglio 2020

Maria Luisa Quadrato è 3D Artist ed esperta di rendering fotorealistico architettonico e di prodotto 

Nel 2018 fonda The Square, agenzia di visualizzazione 3D a Bari  e attualmente è coworker nello spazio Archimake.

Quando dice di occuparsi di render molti rimangono perplessi, eppure il rendering è un utilissimo mezzo di ricerca e di studio, sia di ciò che esiste sia di nuovi progetti. Un’attività affascinante che permette di creare mondi paralleli. Oggi ci parla di tutto ciò che il rendering significa per lei. 

 

Maria Luisa, partiamo con il chiarire di cosa ti occupi: 

 

Da oltre quattro anni lavoro nell’industria della computer grafica e la mia professione è ancora un grande sconosciuto; per semplicità mi definisco col termine “renderista”, per quanto cacofonico risulti all’orecchio. 

Il rendering è il processo di generazione di un’immagine a partire dalla descrizione matematica di una scena tridimensionale, in seguito interpretata da algoritmi che definiscono il colore in ogni punto dell’immagine digitale. 

A questo punto di solito, molte persone corrugano la fronte e allora cerco di spiegare il mio lavoro così: è come se scattassi una fotografia di un ambiente creato in 3D al computer.

Niente di quello che produco esiste, eppure nel caso del rendering fotorealistico, l’obiettivo è proprio quello di far “toccare con mano” ciò che non è ancora realizzato, è una piccola magia.

 

Cosa rispondi a chi considera il rendering una finzione o un mezzo propedeutico alla rappresentazione dell’idea di qualcun altro?

 

Definire il rendering una finzione è decisamente parziale. Preferisco definirla una finzione borgesiana: lo scopo è quello di riflettere sulla reale entità delle cose, studiandole nel profondo per poi scoprirle nella loro essenza e trascenderne.

Fare un rendering non significa saper usare un software di modellazione 3D e schiacciare il pulsante giusto di Vray. Parte dallo studio del contenuto da rappresentare, che sia un luogo o un oggetto. Che caratteristiche ha? Come le amplifico e come le racconto? 

Alla base vi è un eccitante processo creativo e artistico che parte dalla conoscenza della fisica, del comportamento della luce e dei diversi materiali e sfocia nella generazione di qualcosa di diverso, personale e unico, pregno della sensibilità di chi lo crea e di simboli che segnano il passo del processo creativo. 

In ultima istanza, si arrivano a scoprire nuovi punti di vista e nuovi approcci che possono essere complementari al progetto da rappresentare e che aprono nuove prospettive, utilissime alla ricerca artistica in senso ampio.

 

Per quali scopi credi che il rendering sia fondamentale?

 

In primis per la fase di studio; ormai i motori di rendering sono "fisicamente corretti" e questo significa che si può aspirare al realismo e all'abbattimento di certi limiti tecnici, per poter esaminare le interazioni dei materiali con le diverse condizioni di luce e all’interno di determinati spazi, inventati o presi a prestito dalla realtà. 

E poi certamente per la rappresentazione dell’idea. A differenza della fotografia che scatta un'istantanea di un progetto già realizzato, il render di un disegno che vive solo sulla carta ha infinite possibilità rappresentative

Si possono “scattare” foto di ambienti letteralmente irraggiungibili da una macchina fotografica, o da prospettive per cui ci vorrebbero mezzi specifici e una serie di condizioni non sempre possibili. Attraverso il rendering un designer potrebbe arredare un angolino di Marte con la sua ultima collezione di sedie. Si dà vita a un determinato mood, sulla base della luce scelta, ma anche dell'inquadratura, dell'intorno, della palette colori. 

Viviamo nell'epoca delle immagini, siamo letteralmente bombardati da input visivi, alle volte piacevoli, alle volte disturbanti, e capire cosa rende un'immagine armonica è alla base del mio studio e delle mie ricerche.

Il risultato finale è frutto di un delicato equilibrio tra molteplici discipline e della profonda comunicazione tra la sensibilità del progettista e quella del renderista, è la danza di Henri Matisse. 

professionisti con cui ho collaborato hanno studiato i loro progetti nel dettaglio, linea dopo linea, mettendosi in gioco e creando progetti pregni dei loro studi, della loro esperienza e anche del loro essere più profondo. Nessun progetto è uguale a un altro e il renderista dev'essere in costante ascolto, deve capire l'essenza da cui nascono le diverse idee e avere la giusta sensibilità per esaltarle e raccontarle. 

E infine per una ragione molto pratica: i costi

Il renderista si sostituisce al fotografo, ai costi di produzione del set e del soggetto da rappresentare, che deve necessariamente esistere, oltre che ai costi della strumentazione. 

 

Perché hai scelto questa professione?

 

Ho una importante formazione scientifica e un passato da nerd non indifferente. Sono sinceramente a mio agio davanti al computer e ascoltando musica. Parallelamente ho sempre coltivato interessi artistici, dal pianoforte ai disegni ad acquerello. Culturalmente si tende a dividere gli interessi tra quelli più scientifici e quelli più classici, proprio come la formazione liceale in Italia. In pratica è abbastanza frequente che chi conosce il greco disprezzi la tecnologia e viceversa. Io invece ho avuto la fortuna di essere entrata a contatto con input molto diversi sin da piccola ed è questo che mi ha sempre spinto a trovare una sintesi, a mio avviso stupefacente ed eccitante. 

Svolgerei questa professione anche se non riuscissi a guadagnarmi da vivere, lo farei come hobby comunque. C’è alla base una profonda conoscenza tecnica dei diversi software di modellazione, di rendering e di post-produzione (ne uso regolarmente quasi una decina). Poi c’è lo studio della fisica della luce, dei materiali, della fotografia, di composizione dell’immagine, della teoria dei colori… E infine c’è il processo creativo, una compressa di gioia pronta al consumo.

 

Cosa vorresti dire a chi si approccia a questo mondo per la prima volta?

 

Innanzitutto consiglierei di aver pazienza perché il processo di apprendimento ha un andamento esponenziale: la prima fase può essere molto frustrante, però superati i primi scogli si hanno grosse gratificazioni. Suggerirei di cercare ispirazione nel campo delle arti visive in generale, di riflettere grazie ai chiaroscuri di Caravaggio sull’ineluttabilità del destino, di perdersi nei dettagli del monumentale Giardino delle Delizie di Bosch, di sentire, proprio come Proserpina nell’epico “Ratto di Proserpina” del Bernini, le dita della mano di Plutone che affondano nella coscia. Metterei in guardia dalle mode del momento (ce ne sono anche in questo settore), esortando a trovare un proprio stile rappresentativo; inoltre consiglierei di conservare la passione, anche quando 3D Studio Max ci lascia inermi davanti allo schermo immobile o quando un cliente ci tratta come un semplice tecnico. E infine consiglierei di non avere fretta, perché la grazia e l’armonia necessitano di tempo, studio, pazienza e dedizione. Sono soprattutto le buone intuizioni che vanno digerite e testate, nulla nasce d’emblée, senza prima passare dall’osservazione accurata del mondo. Ci vuole tempo. Riprendiamoci il tempo, quello della cura dei dettagli, quello dei pomeriggi passati ad osservare il cielo che cambia colore, quello della lettura di un libro mai terminato, quello delle chiacchiere con chi ha più esperienza di noi, il tempo dell’ozio e dell’estro.

 

 

 

 

In gallery alcuni lavori di Maria Luisa.